Space Echo

Simone Sessa Genetic, «Space Echo», Dodicilune 2024, 1 CD.

Avviato nel 2019 il progetto “Genetic” – che prende forma nel trio strumentale guidato dal chitarrista, compositore e didatta campano Simone Sessa, e viene completato dai musicisti Umberto Lepore (basso elettrico e contrabbasso) e Marco Castaldo (batteria) – intende esplorare le differenti declinazioni espressivo-musicali attraversando senza vincoli gerarchici o di etichette stilistiche i diversi generi tra recente passato e panorama attuale.

Come sostiene lo stesso Sessa nelle note che accompagnano il disco, questo progetto è nato «dalla volontà di raccontare e sintetizzare il mio vissuto musicale attraverso un linguaggio che andasse oltre il rigido schematismo imposto dall’industria discografica, cercando nell’incontro tra mondi diversi (post-rock, jazz-rock, ambient-folk, progressive, etc) una libertà espressiva, una coerenza artistica e un suono personale e riconoscibile».

Il disco “Space Echo” rappresenta quindi il frutto di un consapevole lavoro condiviso dallo stesso Sessa con i suoi compagni di viaggio i quali, oltre a contribuire alle otto tracce qui raccolte con i loro rispettivi interventi strumentali, hanno anche collaborato agli arrangiamenti dei diversi brani. Un impegno collettivo e plurale, quindi, capace di distribuire nelle differenti composizioni – tutte firmate dal titolare – una varietà di rimandi sicuramente dinamica ed eterogenea.

Caratteristiche che si ritrovano fin da subito nel segno affilato che apre il primo brano titolato significativamente “Hadioread” – un omaggio, verrebbe da dire, alla nota band rock britannica originaria dell’Oxfordshire – con la chitarra di Sessa che declina un incedere via via sempre più intenso e incalzante fino a innestarsi sulle incombenti incursioni dinamicamente e variamente irregolari della batteria di Castaldo, sostenute con passo inesorabile dal basso di Lepore.

Un passo espressivo, quello che lega i brani di questo album, che attraversa ora frammenti motivici ostinati, ora passaggi variamente arpeggiati e più riflessivi, ora ancora scarti strumentali ritmicamente più incalzanti, arrivando all’oasi di un brano come “Welcome to our town” che, incastonato al centro di questo disco, richiama certe pregnanti atmosfere folk che fanno pensare vagamente ad alcuni lavori solisti di un chitarrista e compositore come Ralph Towner. (© Gazzetta di Parma)