InFormal Setting
Federico Nuti, «InFormal Setting», Hora Records 2022, 1 CD.
Il debutto discografico di Federico Nuti, trentenne pianista e compositore aretino formatosi tra il New England Conservatory di Boston e la Siena Jazz University – realtà, quest’ultima, che lo vede oggi come docente – si presenta come un viaggio denso e articolato, disegnato attraverso un mondo musicale e concettuale personale e variegato.
Un panorama espressivo il cui tracciato estemporaneo e astratto viene restituito dalle caratteristiche dei cinque brani che compongono questo album, differenti l’uno dall’altro per conformazione, durata e sviluppo strutturale.
Una varietà che rispecchia il carattere del materiale musicale che Nuti ha condiviso con i colleghi che ha coinvolto in questo lavoro: Francesco Panconesi al sax tenore, Jacopo Fagioli alla tromba, Amedeo Verniani al contrabbasso e Mattia Galeotti alla batteria.
Liberamente influenzato da un panorama musicale e culturale di riferimento che contempla, tra gli altri, l’Association for the Advancement of Creative Musicians (AACM), Craig Taborn o Roscoe Mitchell, così come pure Morton Feldman e György Ligeti, la materia sonora immaginata da Nuti offre un viaggio libero e originale in un tessuto espressivo che miscela scrittura e improvvisazione in maniera integrata ma non schematica.
Brani come “Inappropriate Behavior In A Formal Setting”, “Winter Light Memories” (composto con Jacopo Fagioli), “Remains Of Human Connections” e “No May Turkey Supper, Maybe June”, pur nella palese diversità di carattere e di impianto strutturale, appaiono accomunati da un approccio che mescola senza soluzione di continuità e senza valenza gerarchica cellule motiviche e cluster sonori, frammenti tematici reiterati e inseguimenti strumentali improvvisi.
Un orizzonte di indagine che, se non appartiene a un concetto di ricerca sperimentale strettamente intesa, conferma una libertà di fondo innestata nelle idee musicali di Nuti che trovano in “And I Sound Like This” – brano che chiude il disco con i suoi diciassette minuti abbondanti di peregrinazioni sonore – forse il risultato più emblematico della fantasia dell’autore, con quel suo ideale – e, se vogliamo, anche simbolico – e personale equilibrio rappresentato sia dalla materia musicale in sé, sia dai riferimenti diretti alla cifra musicale di un compositore come lo stesso Feldman e al mondo visionario di un regista come David Lynch. (© Gazzetta di Parma)