Doisneau, la musica delle immagini, da Eartha Kitt alla Piaf
Clémentine Deroudille, «Doisneau e la musica», Jaca Book 2019, 188 pp.
«Come dico sempre, sono approdato alla fotografia attraverso l’orecchio: da giovane strimpellavo il violino, fin dall’età di cinque anni. Quando andavo al Kremlin-Bicêntre, avevo un insegnante molto elegante, che piaceva molto alle signore […]. La cattedra era collocata sotto un grande specchio. Vi si vedeva la stanza alle mie spalle – vedevo la signorina che dava lezioni di piano, con i capelli come raggi di sole, e il mio insegnante di violino che la osservava attentamente. In quella sorta di specchietto retrovisore improvvisato aveva così inizio un balletto di cui ero il direttore d’orchestra… La mia capacità di osservazione diventò molto acuta.»
Questa citazione di Robert Doisneau, ripresa nel testo di Clémentine Deroudille – nipote del grande fotografo nonché curatrice del presente volume – che accompagna le fotografie raccolte in questa pubblicazione, disvela come la musica, intesa quale ambiente umano prima che creativo, abbia abitato l’immaginario di questo artista fin dai primi anni di formazione.
Famoso anche per “Le Baiser de l’hotel de ville”, immagine scattata nel 1950 mentre stava realizzando un servizio per la rivista americana “Life”, Robert Doisneau (1912 – 1994) è stato un fotografo francese noto per il suo approccio poetico alla street photography. In questo volume – curato con particolare attenzione per questa edizione italiana dalla casa editrice Jaca Book – possiamo sfogliare una ricca collezione di scatti realizzati dall’artista percorrendo Parigi in lungo e in largo tra gli anni ’50 e gli ’80, cogliendo attimi musicali nelle strade e nei bistrot, catturando momenti privati di star della musica come Eartha Kitt in un jazz club, Django Reinhardt a casa e Yehudi Menuhin nel backstage, o sorprendendo la Callas, Messiaen, Poulenc e Boulez. Chiamato a ritrarre Georges Brassens, Juliette Gréco, Édith, Piaf, Charles Aznavour e Claude François, Doisneau ha immortalato anche una nuova generazione di musicisti negli anni ’80, tra cui Rita Mitsouko e Les Négresses Vertes.
Uno sguardo particolare e ricco di angolature il maestro lo ha riservato all’amico Maurice Baquet e al suo violoncello, mentre decisamente intriganti appaiono i chiaroscuri dello sguardo di Jacques Prévert, fissati con l’immancabile sigaretta in bocca. Tra le perle più anonime emerge anche un velo di tenerezza rivolto a una fisarmonicista, ritratta nel febbraio del ’53 in diversi locali di una Parigi popolare: «la suonatrice di fisarmonica era davvero carina, parola mia. […] Completamente distaccata, un poco sprezzante.» Uno dei tanti personaggi di un caleidoscopio in bianco e nero che, come annota Gino Castaldo nel suo testo introduttivo, rappresenta «un bacio danzante tra la realtà e il suo più entusiasta testimone.» (© Gazzetta di Parma)