Il senso del «Farnese» per l’acqua
Il fascino esercitato dall’acqua sull’immaginario musicale è noto. Elemento fondamentale per la vita, simbolo primordiale e, assieme, scenario variamente fantasioso, l’acqua rappresenta una presenza constante che attraversa come un fiume carsico tutta la storia della musica, emergendo a tratti in superfice generando tappe creative che sono arrivate fino a noi.
Con differenti connotazioni estetiche e simboliche, possiamo partire – giusto per rievocare in maniera estemporanea qualche esempio – il Settecento della “Water Music” di Georg Friedrich Händel, fino ad arrivare al Novecento della performance di John Cage titolata “Water Walk” (presentata nel 1959 in Italia al quiz “Lascia o raddoppia?” e l’anno dopo allo show televisivo americano “I’ve Got a Secret”), nonché delle composizioni di Ennio Morricone “Vidi Aquam Id Est Benacum” (1994) e di Tan Dun “Water Concerto for Water Percussion and Orchestra” (1998).
Prospettive anche radicalmente differenti, dunque, che hanno comunque alimentato quella attrazione che – al di là di ogni parallelo o confronto – è stata accolta e coltivata anche da Roberto Bonati, compositore e direttore artistico della rassegna ParmaJazz Frontiere, che ha presentato sabato sera la sua nuova composizione “Quel principio è l’acqua” in un Teatro Farnese ancora una volta abitato da un pubblico da tutto esaurito, la cui cavea potevamo anche immaginare ricolma, appunto, di acqua, considerando la primigenia vocazione di questo spazio seicentesco per la naumachia.
La riflessione offerta da Bonati attraverso questa partitura abbraccia idealmente diverse prospettive che spaziano dalle problematiche contemporanee a radici etimologiche.
Come annota lo stesso Bonati «tante sono le declinazioni di un elemento fondamentale per la nostra stessa vita e, oggi più che mai, il problema della mancanza di acqua, e della speculazione sull’acqua, unito alle sue improvvise e terribili esplosioni, si pone con urgenza […]. Il legame tra musica e acqua risulta particolarmente importante se indaghiamo sull’origine della parola “musica”. […] secondo alcuni autori medievali, attraverso un equivoco etimologico – per me incantatore – nato da un malinteso sul nome Moyses (salvato dalle acque), il termine “musica” “trae il nome da moys, che significa acqua, e da -ycos, che significa scienza, perché fu trovata presso le acque”».
Una base di partenza, questa, sulla quale è stato costruito un percorso musicale nutrito da un fascino elegantemente comunicativo, legato nel suo insieme da una successione di eventi sonori giustapposti, quasi una sorta di sequenza ordinata di pannelli espressivi al tempo stesso coerenti e differenziati. Una partitura capace di indagare il contenuto di testi di Talete e di altri autori, così come di perlustrare con sofisticata misura sia raffinate combinazioni timbriche sia sprazzi di innesti improvvisativi.
Un materiale musicale – ma anche, se vogliamo, narrativo – plasmato dallo stesso Bonati con gesto attento alla guida di una ParmaFrontiere Orchestra che si è confermata compagine compatta e reattiva, composta da Marco Musso (voce narrante), Giulia Zaniboni (voce), Riccardo Luppi (flauti e sax), Mario Arcari (oboe), Marco Ignoti (clarinetti), Michael Gassmann (tromba e flicorno), Nicola Ernesto Cortes Castillo (tuba), Paolo Botti e Ingrid Berg Mehus (violini), Luca Perciballi (chitarra), Luca Gusella (vibrafono e marimba), Andrea Grossi (contrabbasso) e Roberto Dani (percussioni e batteria).
Alla fine gli applausi convinti del folto pubblico presente hanno salutato tutti gli artisti impegnati, chiudendo con un bis una serata coronata da un significativo successo. (© Gazzetta di Parma)